Una volta ho letto alcuni articoli che volevano affrontare il tema della poesia come forma di preghiera. Nello stesso periodo ho ascoltato un audio in cui un mistico spiegava l’arte, quindi anche la poesia, come manifestazione di ciò che è umano, non una tendenza verso l’assoluto, ma solo come una espressione umana.
Leggendo quegli articoli mi ha colpito la frase “La poesia è il mondo e non la cenere di questo mondo”, lo scrisse Edoardo Albinati. Poi mi è capitato sotto gli occhi “Ciò che della Musa non resta nascosto chiamiamo canto; ma la sostanza del canto è l’essere celato”. Questo lo scrisse Sauro Albisani. In ultimo Giovanna Sicari, che si trovava quasi alla fine della raccolta “Il poeta e il santo, pur operando distintamente, attingono da una fonte, in un certo senso comune: quella fiamma, alla quale il mistico si abbandona e che il poeta trascrive nel codice che gli è proprio. La luce, che da essa emana, indica come dice Novalis, la strada verso l’interno”; ecco, mi piacerebbe discutere a proposito di questo, la poesia può essere anche per altri un mezzo per trovare quella strada “verso l’interno”?
Tradizioni di popoli, anche di culture differenti fra loro, hanno cantato in lode di un’entità divina, invisibile, onnipresente, forse anche più di una… ora non è lo scopo dell’articolo esporne le più importanti, ma potrebbe essere interessante.
Nella tradizione occidentale amiamo portare sul trono della poesia il poema dantesco, studiato e ristudiato nelle scuole, nelle università, ma non era forse di Dante l’obiettivo di percorrere un viaggio verso la redenzione dal peccato e quindi un viaggio di purificazione, e ancora, un viaggio attraverso la poesia per incontrare Dio? Sarebbe riduttivo definire la Divina commedia, come la chiamò Boccaccio, un’opera con solo questo scopo, ma è indubbio che lo sfondo primario dell’opera ha questo sapore.
Abbiamo pensato di aprire la discussione a Matteo Chiurchiù e Sergio Rotino.
Quale ruolo ha la poesia nella vostra vita, si può scrivere poesia pensando di cercare una presenza perpetua e invisibile celebrandone con le parole le sue tracce o la si deve vivere nella realtà che l’ha ispirata senza porsi troppe domande?
Matteo Chiurchiù
«La poesia è una esperienza che, secondo me, nasce dall’osservazione della realtà. Esperienza e realtà non sono materia inerte. Vivono. Uno dei temi ricorrenti nella mia scrittura è la luce che parla negli avvenimenti che accadono. Anche negli avvenimenti storici di cui quella luce suggerisce delle interpretazioni. Può essere questa cosa chiamata sacerdozio, in senso etimologico.
Non so se sia meglio far fluire la realtà o farsi domande per giudicarla. Tuttavia si potrebbe fare questa domanda: perché la legge? perché gli uomini hanno delle leggi? da dove vengono? che c’entra questo con la poesia?
Nella presentazione maceratese del mio libro, Alessandro Seri disse che nella mia poesia si sente la potenza del dogma (“Il muro della terra? – le case i luoghi hanno bisogno di mura?”). Il dogma che si dà ci mette di fronte alla responsabilità delle scelte. Ma forse è possibile relazionarsi anche di fronte alla legge. Perché la legge vuol interrogare la mia vita? e la legge si apre alla realtà e la luce alla poesia?
Disse Gesù che non venne sulla terra ad abolire la legge ma a dare compimento a ogni suo più piccolo iota (trattino). Chissà quanto dolore e quanta grazia abitano nel “non uccidere”. Questi trattini della legge potrebbero assomigliare a quella particella di polvere che si posa con grazia sulla realtà?»
Sergio Rotino
«Ma figuriamoci. No, assolutamente no. Non scrivo “poesia” per cercare (e individuare) una presenza, un qualcosa che mi eterni e che la eterni. Scrivo per capire (me? gli altri? il mondo fisico?) e rispondere a me stesso con altre domande. Scrivo perché, in fondo, non so fare molto altro e le parole mi aiutano a ingannare il tempo, nel senso di raggirarlo.
Per me scrivere è come una forma di ludopatia portata a un livello più alto di complessità, ecco come potrei definire la poesia. Il resto sono parole con cui infiocchettiamo ogni concetto. Per paura di sembrare banali, per paura della pausa, del vuoto creato quando ci si esprime attraverso risposte che posso apparire troppo brevi, lineari, scontate, toh persino oneste, alcune volte.»
Quindi ti discosti da questa visione per divergenza di obiettivi?
«Sì. O come scrive Vincenzo Cardarelli “La speranza è nell’opera. Io sono un cinico a cui rimane per la
sua fede questo al di là. Io sono un cinico che ha fede in quel che fa”.»