Vi proponiamo l’introduzione di Loredana Magazzeni a Figlia di solo padre.
Chi si accosti a questi saggi di Rosaria Lo Russo per curiosità (si tratta della prima loro pubblicazione in volume) e per desiderio di attingervi le fonti della sua poetica, non rimarrà deluso. Chi vi cerchi le ragioni e i sentieri di una poesia che ha fatto del plurilinguismo, della metamorfosi del canone, della ribellione al sogno della poesia e delle forme strutturali della tradizione una pratica politico-poietica, si troverà a casa sua. Perché la poetrice fiorentina in questi scritti ha problematizzato la ricerca di identità nella scrittura intrecciando strettamente meccanismi inconsci, teatralità, rapporto corpo-voce e parola-voce, pratiche di poesia, miti e romanzi di formazione, illuminanti e personalissime teorizzazioni femministe e un corpo a corpo scintillante e intellettualmente incalzante con la tradizione letteraria.
Lo scrittore, scrive citando Pirandello, è sempre «un critico fantastico, il cui progetto testuale è una creazione riflessiva». Ogni scrittore crea riflessivamente, ossessivamente ritornando sui propri miti originari. Ma la scrittrice? Anzi, la poetrice? Pur non riconoscendosi dichiaratamente femminista, Rosaria Lo Russo è in primis una outsider della poesia e del pensiero delle donne. A lei si devono (assieme a Daniela Rossi) le iniziative relative al manifesto Fragili guerriere, che mettono in luce la forza epica e l’innovatività delle poetiche e delle pratiche artistiche e letterarie delle donne.
Nella sua produzione poetica, ormai più che trentennale, Lo Russo ha praticato la rivisitazione dei miti fondativi della tradizione soffermandosi sul problema dell’identità e della forza femminili nelle scrittrici, in genere, in figure come Penelope, o in autrici a lei particolarmente care, come Anne Sexton, Sylvia Plath, Amelia Rosselli, Patrizia Vicinelli. Se l’atteggiamento della cultura patriarcale verso le donne può essere simbolizzato nel paradosso della follia di un padre, che nella fiaba La pulce e la pulzella nutre a dismisura una pulce teneramente amata, mentre consegna a un orco spaventoso la figlia leggiadra, in modo opposto un incestuoso padre fumettistico segna, per la figlia Anne Sexton, il paradosso del doppio legame (siamo intrappolati da chi amiamo di più) e il suo tragico destino. I saggi qui raccolti presentano indicazioni di metodo originali per consentirci di accedere criticamente sia alla rilettura della tradizione sia alla rimessa a fuoco delle grandi lenti della cultura letteraria occidentale.
Nel Trittico pirandelliano, che apre il volume, alla gratitudine e all’amore verso il grande scrittore-drammaturgo siciliano, che per primo si è soffermato a descrivere il sottile rapporto tra animo femminile e destino di infelicità, tra ambivalenza della realtà e sogno, tra figura e creatura, follia e manìa, tragedia e commedia, Rosaria affida l’impossibilità di dire una parola definitiva sul reale che non sia altro che atto, estetico, poetico, teatrale. La trilogia pirandelliana si avvale di un retroterra mitico e folklorico meridionale caro alla nostra per origine familiare (paterna), già potentemente evocato e utilizzato nella sua poesia, e di un linguaggio che è creazione totale: qui ha origine il plurilinguismo che zampilla nei suoi testi poetici, che è de- e ri-costruzione di mondi. Alcuni lessemi del primo saggio (attassamento e parossismo, attribuiti ai riti del cordoglio funebre delle donne del meridione) riferiti alla madre pirandelliana, torneranno, come altri, nella raccolta Comèdia.
In questi saggi Rosaria comincia a delineare la teoria per cui attività dell’arte è sempre la creazione di identità multiple per reduplicazione di sé. Metamorfosi e trasformismo riguardano l’interpretazione della Primadonna in Pirandello, ma anche l’interpretazione testuale. Primadonna è colei che sostituisce la generazione con la creazione e dunque, per riflesso, colei che è di fatto scrittrice. Inizia a delinearsi negli studi dedicati al drammaturgo siciliano il tema doppio della maternità: terrestre, per la vita, e lunare, per l’eternità. Il continuo rapporto che Pirandello intesse tra autore, personaggi, attrice protagonista e scena impersonata è reso da Rosaria nella impossibilità di una scrittura che conservi un piano unico di realtà (testuale, autoriale) e che non sia frutto di più rispecchiamenti (fra oggi, ieri e della tradizione).
In questi saggi Lo Russo viene delineando la creazione di una critica che sia insieme scenica e poetica: frutto di un artigianato eccellente della parola, della filigrana sottile di un pensiero poetante. Rosaria elegge in Pirandello la devozione assoluta all’immagine femminile, devozione durata tutta la vita, testimoniata dagli «epistolari del diciottenne e del sessantacinquenne». I genitori, Padre e Madre non biologici, sono nella sua analisi l’Autore e la sua Primadonna, «creatori partenogenetici», che Pirandello immaginava di proiettare in una trasposizione altra, fuori di sé. Con Pirandello il mondo lunare, il mal di luna, che unisce visione femminile del mondo e mondo della scrittura colta, paterna, fa il suo ingresso nel canone come elemento perturbante, sogno estatico e fascinazione della morte fino alla maternità divina della madre lunare. Iniziano a delinearsi in questi saggi concetti che ritroveremo nei saggi successivi, come la parthenìa, o i miti di Artemide.
Le tragedie pirandelliane si concludono con la caduta del sogno d’amore del poeta morto per inaccessibilità della sua Divina. Marta Abba, eroina militante e categorica, sembra preludere già a ciò che nei saggi successivi metteranno in scena Anne Sexton e Amelia Rosselli. Le eroine pirandelliane si delineano infatti quali mitologemi dianei, ma ben presto anche le eroine si stancheranno di essere Muse. A partire dal lavoro di traduzione che l’ha accompagnata per oltre un trentennio, Rosaria analizza in due autrici statunitensi attive dagli anni Cinquanta, Anne Sexton e Sylvia Plath, il dramma borghese del modello familiare patriarcale, già prefigurato nell’opera pirandelliana.
In queste autrici la scrittura è sempre «ricerca della propria identità poetante tramite la ricostruzione dell’identità del Padre». Anticipando le tematiche della daughterhood, si parla in queste poesie di incesto fantasmatico e del padre come cibo afrodisiaco. Personaggio emblema è Little Orphan Annie, fumetto caratterizzato dalle orbite vuote, col personaggio dell’orfanella che pone la scrittura poetica degli anni Cinquanta a metà fra cultura pop e cultura alta, rispecchiando il sogno americano. La potenza economica dei padri (nata nel dopoguerra e basata su un carico di violenza conscia e inconscia) si scontra contro le rivendicazioni di libertà delle figlie del benessere. Figlie orfane di quei padri, ma ancora senza una alternativa praticabile, vivono il dramma di una ancora impraticabile e non praticata autodeterminazione. Il sogno impossibile dell’incesto paterno, per accedere alla potenza del padre, viene da Lo Russo riletto in ottica comparativa con la lezione dei classici, mediati attraverso la poesia: «come se tu mai fossi esistito, come s’io fossi/creata da un Dio-padre tramite il ventre della madre».
Nel teatro delle poetesse, a morire è, oltre al genitore provocante, la figlia scellerata, come nella tragedia di Mirra, ravvisando un filone tragico del rapporto padre-figlia in autori come Eschilo, Euripide, Ovidio, Dante, Alfieri, Pirandello. Nelle Eumenidi, Atena si definisce figlia di solo padre: «Madre che mi abbia generato non l’ho. Il mio
cuore, esclusi legami di nozze, è tutto per l’uomo. Io sono soltanto del padre». Lo Russo mette a fuoco nella poesia femminile americana del secondo dopoguerra la «inessenzialità spirituale della genitrice e del conseguente rifiuto del corpo sessuato della madre». Svalutando la «maturità sessuale femminile, il corpo della madre, la virgo virile è come il padre». Aborrire la madre è aborrire la propria identità femminile-materna, spartiacque che segna (con il suicidio e l’impossibilità) la solitudine delle donne prima del Sessantotto e fin sulla soglia degli anni Settanta.
Nel saggio Acque paterne si indaga invece la poetica di Sylvia Plath, a partire dalla continua comparazione classica con il padre-Agamennone di The Colossus. Il padre musa, ispiratore, il colosso, è a sua volta quel padre la cui
morte per acqua è annunciata da Ariel ne La tempesta di Shakespeare: un padre che l’acqua trasforma «in qualcosa/di ricco e di strano», metamorfosi del sublime poetico, acqua da cui non essere trascinata nel fondo ma da cui essere trasformata in autrice. La nascita da queste «acque paterne» segna però la fragilità di Ariel e della poetrice, condannate a restare ai confini dell’immenso mare patriarcale, esiliate dalla pervasività di questo liquido e infinito regno paterno a cui inutilmente aspirano come origine, e che ricreeranno/ritroveranno solo tramite la scrittura.
Nel saggio Sexton/Dante. Queste voci vo comparando. Appunti per una poetica della traduzione orale, Lo Russo esprime ciò che per lei è l’atto del tradurre: non unicamente trasportare il testo poetico da una lingua all’altra, quanto mettere «in scena le sue voci dell’altro», cioè ripescare dal fondo dell’inconscio creativo del traduttore la presenza delle sue e altrui auctoritates e interpretare nella lingua d’arrivo il testo ricreato, in una sorta, afferma, di profondo e personale «trasporto vocale del testo», ricercando una fedeltà orale alla propria voce e a quella dell’Altro. Come scrive, tradurre è dunque «un lavorìo in parte intimo, inconscio, in parte estroverso in quanto performativo». Un atto di ricreazione del testo, e in particolare, qui, delle vocalità poetiche sextoniane e dei tòpoi dell’amore, una sorta di gioco di specchi in cui «riaffiorano gli aspri e oscuri suoni dell’ultimo Dante petroso» e «il pensiero tenta di riscrivere la voce dell’originale ricordando i registri del proprio originario poetico».
È dedicato a una delle maggiori voci del Novecento, Amelia Rosselli, «una che sperimenta con la vita», come ricorda Lo Russo in esergo, il saggio I Santi Padri e la Figlia dal cuore devastato. Rosselli, «giovane poetrice vocata», archetipo delle figlie di solo padre, in quanto figlia di Carlo Rosselli, si inserisce per Lo Russo nella linea di una «Vita Nova della poesia femminile nel secondo Novecento». Negli anni Cinquanta, con lieve anticipo rispetto a Sexton-Plath, Amelia Rosselli compie, secondo la lettura che ne dà Lo Russo, una rivoluzione: la rifondazione poematica dell’immaginario cui «la Tradizione mistico-letteraria occidentale rimanda». Il corpo appare in Rosselli luogo di esperienza delle tematiche identitarie, da luogo dell’origine paterna (la sua vita, scrive Rosaria, è tutta volta alla ricostruzione dell’immagine paterna), a sede, attraverso la scrittura, di confronto con i «Modelli Originari» del canone occidentale: «La giovane poetessa si forma leggendo gli antichi e i moderni maggiori: il Padre, i Padri, sono maschi, e quindi la lingua Madre del Padre, in poesia, diventa lingua dei Padri».
Ad Amelia Rosselli, e a un suo breve saggio intitolato Donne in poesia, Rosaria fa risalire una prima vera teorizzazione dei legami tra donne e scrittura: «Tra il mio concreto operare poetico e la mia ‘femminilità’» scrive Rosselli, citata da Lo Russo, «in realtà v’è sempre stato uno stretto interlaccio […] volontario». E aggiunge che se il movimento femminista ha svelato i legami storico-politici fra scrittura e tradizione maschile, restano tuttavia da studiare quelli relativi a «una differenza linguistica antropologica della scrittura poetica femminile che ha a che fare con la biologia culturale (il corpo) e con la mistica, per le sue specificità linguistiche; e resta da studiarla», citando subito dopo gli studi compiuti da Florinda Fusco su Amelia Rosselli.
Nell’esaminare il fondamentale poemetto La libellula, emerge che Rosselli parodizza nel personaggio montaliano di Esterina «l’horror vacui del Bello della Donna-Assenza che minaccia la Presenza poetica e reale della donna», rivelando la mise en abyme di un fantasma millenario, l’imago della assenza delle donne dalla tradizione letteraria codificata. Dietro l’Esterina montaliana si affaccia ancora la figura mitica della Parthènos, l’eterna donna sfuggente e adolescente che manca la maturazione e l’autonomia dal padre, «eternamente non moglie», incestuosa «figlia-non moglie intrappolata nella devozione al padre». L’importanza che Lo Russo attribuisce a Rosselli sta, infine, nell’aver svelato, da vera Figlia di solo Padre, il «di dietro dell’amor cortese», e avere aperto la strada a una «rinascita di un io femminile poetante come soggetto in processo partenogenetico del sé».
Nel saggio Due poetrici allo specchietto retrovisore vengono analizzati due romanzi in versi di area anglofona: Oltre la polvere, della statunitense Karen Hesse e La maschera di scimmia dell’australiana Dorothy Porter. In entrambi, Lo Russo riscontra una formula che ritiene tipica e ricorrente nella poesia delle autrici del secondo Novecento: la forma epico-poematica, eroica nel senso di una epicità del quotidiano e delle cose, in cui il tema del viaggio diviene viaggio iniziatico e processo in divenire verso l’autodeterminazione. Naturalmente, anche qui ricompaiono i modelli delle «figlie di solo padre», la cui ricerca aspira allo stato di «senza madre», amètor, avendo come riferimento piuttosto le figure di zie paterne rispetto a madri rinunciatarie, che hanno abdicato all’affermazione di sé per essere mogli e madri. Lo Russo sceglie questi «romanzi di formazione» come documenti storici interessanti per le tesi che è venuta sviluppando nella sua poetica.
In linea con una tradizione castratoria paterna, cui Sexton-Plath potevano opporre soltanto una ribellione suicida, nelle protagoniste adolescenti qui ritratte si dispiega la condanna verso il «taglio delle mani» per chi si macchia del peccato di individuazione (questa immagine ci ricollega a una tipica fiaba dal titolo La fanciulla senza mani, incentrata sulla castrazione paterna dell’organo del fare della figlia, confermandoci quanto sia nel giusto Lo Russo nel suo insistere su miti, fiabe e tradizione classica per analizzare e sbrogliare nodi concettuali nella contemporaneità). Anche qui non rimane alle protagoniste, piuttosto che impersonare il mito della ragazza morta, che «specchiarsi nel passato della propria persona scomparsa», ovvero «ritrovare la propria identità primaria».
Romanzi in versi di formazione femminile, in cui «passare all’età adulta è il grande interdetto», crescita e maturità «ambiguamente rimandati» per sostare troppo a lungo forse nella invischiante pseudopotenza della parthenìa. Ma perché nasca la donna adulta, l’adolescente interiore deve morire, come mostra un altro collegamento letterario operato da Lo Russo, quello col romanzo Le vergini suicide, di Jeffrey Eugenides, in cui cinque sorelle si suicidano una ad una pur di non pervenire alla dimensione femminile adulta: «il modello patriarcale della perfezione femminile […]» è pura imago, e perciò nocivo, «perché confonde ambiguamente il processo di autoindividuazione (personale, sociale) con il progetto culturale – da sempre misogino – dell’identificazione del Sé». Da cui la necessità di una sana, benefica parodia.
In una storia della letteratura delle donne, che si va scrivendo, perché priva finora di una tradizione, i due romanzi analizzati «illuminano i meccanismi inconsci della scrittura femminile», parodizzando i luoghi comuni della trasmissione letteraria e denunciandola apertamente. Caduta l’imago di un femminile retorico, la parodia svela la maschera di vacuità e di «malafede omicida dei meccanismi creativi al potere». Come scrive Aristofane, il
poeta serve a salvare la città, con il rovesciamento parodico del sistema. In questi due romanzi in versi Lo Russo
vede dunque una possibilità per la civiltà letteraria di «avanzare nella conoscenza di sé». Questa possibilità è attivata dalla pacificazione col femminile materno, il recupero di sé attraverso «le mani di scrittrice», che sono anche le mani della madre, non più segno della castrazione ma strumento di creazione per entrambe. Il saggio si
chiude con questa significativa indicazione: «Il tour de force epico delle poetrici, riemerse dall’Ade delle Belle Lettere, sta imboccando una via d’accesso possibile ad una rifondazione delle immagini poetiche a partire dalla distruzione, dal crollo del castello di carte slabbrate dell’immaginario poetico maschile», cui si sono dovute adeguare, ritrovandosi a indossare maschere e non vere identità, «maschere di scimmia, (con) esiti spesso autodistruttivi».
Nel saggio che chiude il volume, Comèdia&Comedìa (Anonimo Fiorentino), Lo Russo si pone ancora l’obiettivo di verificare la presenza dei grandi temi dell’Identità poetante femminile, a partire dai propri testi per arrivare a una operazione che definisce transpersonale: ovvero, che definisca il monstrum della poesia femminile all’interno della grande tradizione, nel rapporto col grande Padre della Lingua Italiana, Dante. Rapporto che è, principalmente, performativo (comico/teatrale, oltre che orale/vocale). In buona sostanza, si tratta di «ricantare parodicamente la voce creatrice del padre orante come certificato di nascita di una lingua poetica altra».
Il soggetto poetante femminile è, per tradizione, scrive, un Tu angelicato, «un travestimento dell’anima di Lui». Le sue prime raccolte poetiche, Comèdia e Lo Dittatore Amore, si interrogano proprio su questo passaggio: formazione del soggetto poetante femminile e sua identità (musività a se stessa). Comicamente, Lo Russo annuncia l’avvenuto «poetricio»: atto di meretricio fra la figlia poetante e il corpus poematico del padre. Comèdia rappresenta le prime lallazioni della infanta orante, così come Lo Dittatore Amore e i Melologhi rappresentano la compiutezza del percorso identitario verso l’automusività, con sberleffo del padre. L’anoressia, che colpisce le mistiche con il rifiuto di toccare cibo, è metafora dell’afasia linguistica causata dalla incombente e pervasiva lingua paterna, o della bulimia linguistica della Nostra, là dove ci assicura che «il canone letterario italiano (Dante) è cibo che passa di bocca in bocca». In conclusione, sciogliendo la metafora, il «dolce alimento materno dittante proviene dai Padri del padre, si trasmette di padre/madre in padre/madre fino a fare del loro cibo-linguaggio alimento tradizionale anche per la figlia mimetica della tradizione occidentale».
Non mi resta quindi che augurarvi buon viaggio per i sentieri intricati e seducenti che questi saggi percorrono utilizzando, come in una direzione d’orchestra, un virtuosismo linguistico e parodistico che è la mise en abyme della ricchezza e vitalità della nostra lingua italiana. Sentieri i cui punti di arrivo restano ancora aperti, ancora non del tutto esplorati dalle donne scrittrici: è questa possibilità la causa della loro attualità e della condivisibilità (di esperienza, teoria, scrittura) a cui la loro autrice, e noi con lei, aspiriamo.