Eleonora Pinzuti lavora come libera professionista nel campo del Transformative Learning e delle Pari Opportunità; si è formata presso l’Università degli Studi di Firenze dove ha conseguito il dottorato in Italianistica. Ha curato i volumi Marguerite Yourcenar sulle tracce «des accidents passagers» (Bulzoni, 2007) e in co-cura Bestiari di genere (SEF, 2008). Poeta, nel 2018 è uscito Con figure (Editrice Zona).
Ciò che la contraddistingue è una grande tenacia, visibile persino a chi non la conosce o sa poco di lei, nel far emergere le sue intenzioni personali che sono anche delle forme di agire politico. Nelle righe che seguiranno le farò alcune domande a partire dal libro pubblicato per Seri Editore nel febbraio 2020, Narrazioni e Generi.
Ho percepito attraverso Narrazioni e Generi, passione, capacità di ascolto, sia interiore che esteriore e poi studio, molto studio. Ti sto per fare una domanda che forse ti avranno già fatto in molti, ma se ti va, mi racconteresti quando hai scoperto la tua battaglia e poi deciso di impegnarti ed affrontarla nella vita, prima in ambito universitario e poi fuori?
A dirti il vero non ho scoperto nessuna battaglia: semplicemente le istanze politiche, cognitive e personali che mi hanno formato, le interrogazioni e le consapevolezze che mi sono posta a partire dai quindici anni, hanno trovato un loro alveo intellettuale intorno ai vent’anni con letture più ampie e con strumenti che non potevo avere negli anni ’80, tanto più in una zona periferica della Toscana: la Maremma, dove sono nata e cresciuta. Dunque direi che a partire dagli anni ’90 le mie interpellazioni sul mondo si sono intrecciate alla mia personale biografia: dalla letteratura alle istanze femministe, dalle minoranze lgbt alla politica, dalla narratologia alle rappresentazioni indirette e dirette del sé. Ovviamente solo dopo la laurea, durante il dottorato, queste ricerche hanno trovato una forma compiuta.
C’è un particolare motivo per cui hai voluto riunire questi saggi già apparsi in riviste in un unico libro?
Sì. Da un lato volevo sottrarli alla “episodicità” del saggio, dall’altro avevano essi stessi un loro continuum, un vero e proprio filo narrativo: mi sono infatti resa conto che tutti andavano a coprire un determinato ambito (i gender studies e la queer theory) che oramai, rispetto alla temperie nella quale furono scritti (dal 2007 al 2013), aveva ottenuto una sua riconoscibilità. Finalmente, per dirla con Proust, si era formato un pubblico in grado di comprenderne alcuni assunti.
Nonostante i passi in avanti che nei secoli sono stati fatti per eguagliare in ambito di diritti la donna nella società all’uomo, oltre al fatto che le discriminazioni siano tutt’altro che superate, non credi che il problema risieda nell’ignorare che cosa sia la femminilità davvero e quali benefici se compresa possa apportare nella società? Si è sempre pensato più o meno silenziosamente che fosse qualcosa di limitato alla capacità di generare figli o, ancora, alla sola sensualità, o attrattività fisica, facendo scivolare le donne che hanno superato una certa fascia di età nel dimenticatoio, rendendole invisibili. Molti però non riflettono sul fatto che anche negli uomini risiede una componente femminile, così come negli animali o nelle forme di vita in genere… quindi forse sarebbe necessario cambiare il paradigma, o abbatterlo. Nelle tue riflessioni di anni, cosa pensi potrebbe aiutare a cambiare percezione della donna da parte dei singoli e poi delle istituzioni?
Io penso che sostantivi quali “femminilità” e “maschilità” siano gravidi di stereotipi: né credo che sia utile affermare che la femminilità apporti specifici benefici alla società e che per questo vada valorizzata: un soggetto va valorizzato di per sé. La donna (l’essere sessuato al femminile) è infatti un soggetto di diritto, una persona: e che sia o meno “femminile” deve poter agire come qualsiasi altro soggetto (uomo, transgender, intersex) all’interno del circostante. Vero è che la misoginia storica ha pesantemente influenzato, fino a rendere le donne “soggetto minoritario”: cioè privo di diritti. Per modificare gli assetti paradigmatici nei quali il “discorso di genere” è inserito serve un fortissimo sforzo destrutturante il binarismo di genere: quel portato di pensiero che divide, sostanzialmente, il mondo in “maschile” e “femminile”, dando a questi aggettivi una serie di caratteristiche pregiudiziali. Su questo punto ci sono infinite resistenze, ma non certo quella di “ignorare cosa sia la femminilità” (penso ad un bel libro di Betty Friedan, La Mistica della Femminilità, del lontano 1963): semmai di averne parlato troppo e male. Bisognerebbe uscire dalle categorie di genere per abbracciare quella di “soggettività”: saremmo tutt* più liber* (l’asterisco è una grafica: per sottrarre tutte quelle forme di esistenza che non si riconoscono né nel maschile né nel femminile).
Resta altra questione poi il fatto che “il soggetto donna”, avendo subito pesanti forme di dominio, ha per fortuna sviluppato modalità situazionali e resistenziali (modi di agire diversi dal dominio) e critiche – ad esempio attraverso il femminismo – che, quelle sì, vanno conosciute e divulgate. Ma le donne in quanto tali spesso adottano modelli introiettati, come tutti. Non è sufficiente, affatto, essere donna per apportare valore: purtroppo.
So che la domanda lascia trapelare la mia giovane età, ma una esperta come te come legge la situazione?
Non so quanti anni tu abbia, ma credo che ogni domanda, a qualsiasi età, sia più che lecita. La situazione attuale è molto complessa, cara Irene: il neopatriarcato non cederà facilmente i privilegi a nessuno (né ai neri, né alle donne, né ai soggetti lgbt, né ai minorizzati), ma è pur vero che stiamo attraversando “un mutamento coscienziale” che sta letteralmente modificando gli assunti politici del mondo. E questo significa molto: le generazioni più giovani non sono più disposte a farsi incasellare e a vedere leniti i loro diritti. Non sarà facile, ma è una battaglia che vinceremo.
Quali sono stati i tuoi maestri letterari?
In questa domanda c’è un inevitabile portato di involontario, inavvertito e sociale maschilismo (non me ne volere: è il contesto che ha costruito così il linguaggio). Non mi chiedi infatti quali siano state (anche) le mie maestre!
Sul versante della letteratura mondiale contemporanea indubbiamente la donna più importante della mia vita è stata Marguerite Yourcenar, conosciuta solo attraverso i libri purtroppo; poi senza dubbio Proust, Thomas Mann, Virginia Woolf. Inoltre, citando senza voler tassonomizzare per importanza: Forster, Blixen, Plath, Sexton, Dickinson, Poe e altre dozzine di nomi (tutti i classici della letteratura mondiale fra otto e novecento). Ma anche Cervantes e Shakespeare, Petrarca e Dante, Leopardi e Manzoni, Tasso, Bassani.
Nella saggistica Debendetti e Contini, Butler e Foucault, De Beauvoir e anche qui una dozzina di nomi fondamentali che sarebbe noioso citare.
Mi rendo conto che farei prima a dirti: le migliori menti della storia (devo a Cesare non meno che a Jauss).
Con una eccezione: non sono mai riuscita ad amare troppo le scrittrici italiane, tranne alcune poete (non dico poetesse per scelta) e romanziere contemporanee e viventi (che mi sono anche amiche).
Un’ultima domanda, credi che la letteratura potrà più avere una qualche influenza sui giovani, sulle persone?
Questa è, fra le tue, la domanda che preferisco: non sai quanto ti sia grata per avermela posta. Io credo fortemente che la letteratura possa avere un ruolo centrale nella narrazione della complessità attuale e nelle risposte da dare alla attualità: ma va sottratta (come io faccio nei miei corsi di formazione e nel mio lavoro) alla rigidità accademica, ai riti della narrazione omofoba, misogina, razzista ed eterosessista per renderla alla sua funzione dialogica, sovversiva, paritaria attraverso la rivelazione della sua “storicità locata”.
La letteratura è dialogo, da sempre: è ira (da Omero a Dante), è sovversione (Da Poe a Proust a Baudelaire), è ricerca (da Woolf a Primo Levi), è denuncia. La letteratura continua a parermi la forma umana migliore per narrare la libertà.