Silvio Natali è nato a Corridonia, classe ’43, si è laureato in medicina e ha svolto a lungo la professione di medico. Ben presto però scopre anche un’altra vocazione, quella dell’artista, che tutt’oggi gli regala grandi soddisfazioni; nel 2020 esordisce con il suo primo racconto, Operazione accompagnamento , per Seri Editore.
Buonasera Silvio, io e lei ci siamo già conosciuti, la prima cosa che ho notato appena l’ho incontrata è stata la sua presenza di spirito, e la fermezza nelle decisioni. Crede che sia un aspetto del suo carattere o si è formato ad esserlo per via del mestiere che ha svolto?
Se devo parlare del mio carattere, mi definirei per natura ottimista. Come tale, quindi, tendo a sdrammatizzare in genere le situazioni, ricorrendo spesso alla mia innata allegria per raggiungere tale fine, utilizzando la mia voglia di scherzare e di ridere. E in genere mi accorgo che questa maniera di affrontare la vita permette di superare anche i momenti più difficili. Per quanto riguarda la fermezza nelle decisioni invece c’è da distinguere tra le diverse situazioni. Se uno pensa all’attività da medico è indubbio che ci sono momenti in cui bisogna decidere senza indugi ma anche in maniera lucida perché potrebbe essere una questione di sopravvivenza. Quando sono sicuro di quello che faccio o che penso, non ho motivi di dubitare e cerco di difendere il mio punto di vista. Questo però non vuol dire che io mi senta depositario della verità assoluta e sono sempre disposto a mettermi in discussione tornando, se motivato, a rivedere le mie decisioni e correggendo i miei punti di vista.
Che cosa l’ha spinta a diventare medico?
Se sono medico, devo ringraziare i miei genitori che decisero per me. Dopo il liceo infatti ero confuso e per niente certo su quale strada intraprendere. Proprio loro, per non creare una disparità tra me e mio fratello che già studiava medicina, decisero di iscrivermi alla sua stessa facoltà. Devo appunto ringraziarli perché poi ho scoperto di amare con tutto me stesso la professione ed oggi, a distanza di anni, devo ammettere che non avrei assolutamente potuto svolgere un altro mestiere.
E poi l’artista?
Fu mia madre, che veniva da una famiglia di artisti e pittrice lei stessa, a mettere il pennello in mano sia a me che a mio fratello fin dall’infanzia. E da lì è nata una passione che non mi ha mai più abbandonato. Ricordo che come medico mi trovai a dover andare dalla mia anziana maestra di prima e seconda elementare malata e lì ebbi a scoprire che in sala c’era incorniciato un mio disegno fatto in quei lontani anni scolastici. Tra l’altro sempre mia madre, ferrarese, soleva ripetere, a mo’ di leggenda metropolitana, che una sua trisavola era una Barbieri di Cento e si vantava di discendere da Francesco Barbieri ovverosia “Il Guercino di Cento”.
Come si arriva a pensare un libro, e cosa invece ha spinto lei a scrivere?
La scrittura è, anch’essa come il dipingere, il frutto di un impellente desiderio di creatività e così, quando mi ritrovai per un certo periodo, causa impegni di lavoro e mancanza di spazi adeguati, a dovermi fermare con la pittura, mi sono dedicato al disegno e alla scrittura. Di conseguenza ho un cassetto pieno di miei scritti (un paio di romanzi, poesie in dialetto ed anche una fiaba in versi ed altre poesie per bambini) relativi a tale epoca.
Come mai ha deciso di trattare con ironia il fenomeno di chi cerca di ottenere senza diritto l’invalidità civile?
Come medico ho fatto anche parte per molti anni della Commissione per l’attribuzione dell’invalidità civile e, durante questo periodo ho potuto assistere, accanto alla maggior parte di casi davvero pietosi ed umani, ad alcuni tentativi furbeschi tendenti a dimostrare patologie inesistenti. E sono proprio stati questi episodi a risvegliare il lato scherzoso del mio carattere. Capitava infatti a volte che arrivasse in ambulanza e venisse introdotto in barella qualcuno che magari qualche componente della commissione conosceva benissimo come persona dotata di ottima salute. Ed allora è nata l’idea del libro e, a questo punto, mi piace sottolineare che qualsiasi provento derivante dai miei diritti d’autore andrà per intero alla Associazione Invalidi Civili. Mi è sembrato doveroso farlo.
Ha dei modelli di scrittura per quanto riguarda il genere comico?
Non mi sono ispirato a nessun modello, anche se qualcuno ha visto nel personaggio principale qualcosa di fantozziano ed anche negli altri qualcosa della famiglia Addams, ma tutto è unicamente frutto della mia congenita allegria e della mia inesauribile voglia creativa.
Se dovesse pensare al suo libro nel contesto di una lettura pubblica, secondo lei quale sarebbe l’ambiente ideale e il pubblico giusto?
La lettura del mio libro la vedrei affidata a qualcuno che sapesse portare l’ascoltatore a non perdere le varie situazioni comiche con le giuste pause e le sottolineature vocali nei momenti opportuni. Per una interpretazione così, ogni pubblico sarebbe quello giusto perché verrebbe trasportato nella atmosfera ideale e credo proprio che si riderebbe di gusto.
Ha in progetto di continuare a scrivere?
Non credo. C’è la pittura e devo riprendere la mia attività espositiva, spero il più presto possibile. Purtroppo la pandemia che stiamo vivendo ha rovinato tutti i miei progetti e devo rivedere il calendario per riprogrammare i miei futuri impegni. Comunque, come già detto, ho un cassetto pieno di scritti e potrei sempre tirarli fuori.
Lei pensa che la scrittura possa avere una funzione terapeutica?
Sicuramente sì. La scrittura è terapeutica per chi la pratica e per chi si trova poi ad usufruirne, indipendentemente dagli argomenti, siano essi seri od umoristici. È proprio una vera terapia, piacevole ed indolore. E dato che sono medico vi potete fidare.