Tanti sentimenti, tante emozioni in meno di cento pagine. Quelle di La linea delle cure (2021, Seri Editore), commovente diario su un anno di covid, scritto da Mauro Proietti Pannunzi, medico anestesista a Villa dei Pini di Civitanova Marche.
Oltre al diario dell’autore – dal 17 febbraio al 9 maggio 2020 – che occupa le prime 43 pagine, il libro comprende gli interventi di quelli che nel sottotitolo vengono definiti una banda di fratelli. La banda che, in fondo al volume, verrà dettagliata con metafora marinara: a partire dall’Armatore (l’amministratore delegato), Enrico Brizioli, passando per la Capitana, la direttrice sanitaria Nicoletta Damiani, per gli Ufficiali di guardia e gli Ufficiali di sala macchine, il Commissario di bordo e via navigando fino agli infermieri, i Marinai di prima classe.
Il dottor Proietti fa rivivere al lettore le sensazioni provate nel corso della battaglia in prima linea contro il morbo. Ricorda la trepidazione iniziale: “Ormai si sa. Il coronavirus ha invaso l’Italia. E noi? Cosa potremo fare? Le notizie si rincorrono. Faremo quello che in ospedale non possono più fare? Vorranno che allestiamo una rianimazione? Accoglieremo pazienti sani?”. Rammenta l’emozione nell’apprendere dell’arrivo della prima paziente: “Sono sul corridoio dell’amministrazione, deserta, alle quattro del pomeriggio. Nicoletta, la nostra direttrice sa-nitaria “capitano”, mi guarda e mi dice, con il timore di comunicarmelo: «Mauro, tra poco arriva la nostra prima paziente.» Sapevo che quel momento sarebbe arrivato. Ma è lo stesso un pugno allo stomaco”. Rievoca la paura per la prima visita: “Cerco di mostrarmi disinvolto e sicuro. Devo dare il buon esempio. Ma mentre mi infilo la tuta il cuore sembra impazzire. Mi ripeto: stai calmo, segui le regole, andrà tutto bene. Entro nella stanza cercando di non pensare che quella anziana donna che sto andando a visitare è diversa da tutte quelle che in tanti anni ho visto e che mi appare come una minaccia incombente. Mi faccio portare l’ecografo, mi concentro sulla sonda e sulle scansioni da fare. Vorrei restare il meno possibile lì dentro. Ma c’è da fare la cartella, l’anamnesi, un minimo di esame obiettivo. Torno in infermeria. Scrivo tutto con cura. Poi la svestizione con un senso di sollievo e il timore di sbagliare qualcosa”.
Così il diario quasi quotidiano va avanti, come si è detto, fino al 9 maggio 2020, giorno in cui viene dimesso l’ultimo paziente. Altrettanto emozionanti sono i racconti degli altri componenti della ciurma, anche se compressi nel breve spazio di una o di due pagine. Numerosi interventi andrebbero citati, ma ci si deve limitare a qualcuno.
Potente è quello dell’anestesista Mauro Perugini che ricorda due errori di procedura che nel corso della carriera lo hanno impaurito grandemente. Una volta ebbe la paura folle di aver contratto l’Hiv dopo essersi punto con la siringa usata per fare un prelievo a un tossicomane; questa volta… ma lasciamo a lui la parola: “A questo punto l’errore: staccando la maschera fissata con il cerotto, l’ho fatta battere sul viso. Poi istintivamente mi sono anche toccato il viso. Con i guanti sporchi. Ancora una volta brutti sogni e veglie notturne mi attendevano nella mia camera in quarantena. Poi il tampone. Anche ora negativo”.
Lieve e ironica, invece, è la chiusa del contributo dell’infermiere Roberto Leoni che nel post scriptum dice che si era già accorto di un precoce invecchiamento dalla caduta dei capelli e dal loro imbiancarsi, ma che pur non potendo andare in bagno per ore e ore il pannolone no, a 45 anni non era ancora giunto il momento di indossarlo.
Molti degli interventi sono accomunati dalla tristezza di dover vivere isolati dai propri familiari, specialmente dai bambini, per timore di infettarli. Ma tutti i racconti ci mostrano quanto sia grande il debito di riconoscenza che abbiamo nei confronti di coloro che ogni giorno lavorano per noi rischiando la propria salute. Riconoscenza che nel caso in questione va a chi si prodiga in una clinica privata, così che il lettore chiudendo il libro non può che convenire col dottor Proietti che nella sanità privata non si fanno solo nasi e tette.