La Simeide: Una lotta vincente, saggio storico dal taglio romanzesco scritto da Tullio Bugari, tratta delle vicende dell’azienda metalmeccanica jesina Sima e, nello specifico, della storia dei suoi lavoratori che, a fronte di decennali vertenze, sono riusciti a difendere i loro posti di lavoro e la stessa sede dalla chiusura.
A una prima occhiata potrebbe sembrare che si tratti di una vicenda provinciale e nulla più, ma in realtà essa fu profondamente legata nel suo sviluppo alle evoluzioni politico-economiche locali e nazionali. L’unico punto fermo di quegli anni fu il Consiglio di fabbrica (Cdf) costituito dagli operai, intenti con ostinazione e coerenza a difendere i loro diritti di lavoratori. Lo sviluppo dei fatti lungo diversi decenni ci permette di osservare come i mutamenti della nazione si siano riflessi sui fatti narrati, un aspetto che la scansione in anni del testo permette di seguire senza problemi.
Il sottotitolo dell’opera riassume pienamente quanto avvenuto, a partire dal fatto che la sopravvivenza dell’azienda non fu affatto scontata, tra periodi di stasi, accordi sfumati e un costante attivismo dei lavoratori, volto a mantenere sempre alta l’attenzione su quanto accadeva. Il tema principale rimane, appunto, la lotta praticata su più fronti: da quello interno nei confronti della proprietà e dei suoi numerosi amministratori delegati a quello esterno riguardante i rapporti economico-produttivi con la Fiat, le cui crisi ed espansioni si riflessero sulle commesse, la politica nazionale – con la sua cronica instabilità – e locale, senza dimenticare il supporto dell’amministrazione cittadina che, seppur con alcuni errori e polemiche, fu sempre disponibile al dialogo.
Questo spaccato di vita operaia si svolse tra il 1977 e il 1996 e può essere articolato in tre atti: il primo che partendo dal 1977 arriva al 18 dicembre 1981, quando Enrico Cavallo venne nominato Commissario per l’amministrazione straordinaria della Sima, ponendo fine alla vecchia proprietà che, con scelte legate al proprio tornaconto personale, fu responsabile del quasi fallimento aziendale. La dirigenza fu giustamente chiamata a processo per rispondere delle proprie azioni, ma purtroppo il tutto si concluse in un nulla di fatto.
La seconda parte riguarda il lungo periodo di commissariamento che si concluse nel gennaio 1989 con l’apertura della nuova Sima. Questa fase fu la più intensa e accesa in quanto vide un maggiore susseguirsi di trattative di acquisizione fallite (in particolare ricordiamo quelle con il gruppo industriale Calabrese e la Gestpar).
Vi furono pressioni alla politica affinché si prorogasse la cassa integrazione e si permettesse alla fabbrica di ricevere i finanziamenti del GEPI, mentre dall’interno si svilupparono critiche al Commissario Cavallo che, nonostante i suoi meriti, fu carente nel cercare nuove commesse per la produzione.
Infine l’atto conclusivo, con l’acquisizione della Sima da parte della Sirmac e l’assorbimento definitivo da parte di Caterpillar, che porterà l’azienda jesina a rinominarsi Hidropro. Quest’ultimo periodo, rispetto agli altri due, vide delle differenze nella conduzione della lotta. Mentre, infatti, inizialmente l’attenzione rimase alta per sollecitare le riassunzioni mancanti – che, ricordiamo, la Sirmac aveva promesso – il focus si spostò verso i lavoratori che con la nuova proprietà non vennero riassunti. Questi formarono un loro comitato specifico, che però ebbe limitati spazi di manovra, poiché sia il personale dirigente che i tempi erano ormai diversi. Ciò si collega al mutamento della società italiana che, da una dimensione collettiva e operaia degli anni ’70, andò verso una dimensione individualista, che negli anni ’90 può dirsi conclusa.
Questo cambio di paradigma sociale condizionò il modo in cui gli eventi vennero percepiti di lì in avanti: se prima, infatti, gli operai Sima erano sempre al centro dell’attenzione locale, con la cittadinanza che, persino durante i ripetuti blocchi ferroviari, restava schierata dalla loro parte, successivamente si registrò un mutamento rispetto agli ex cassintegrati (che, dopo non essere stati riassunti e non potendo trovare un’altra occupazione, rimasero fuori dalle coperture sociali). Per queste persone, che come i loro ex colleghi avevano dato vita a un coordinamento, fu più difficile riuscire a far valere le proprie ragioni e avere dalla loro personalità politiche di peso. Anche il sindaco di Jesi, Polita, riuscì a favorire lo sviluppo di nuove possibilità sul territorio, dove trovarono lavoro gli ultimi operai non più riassunti dall’odierna Hidropro, alcuni dei quali, come già detto, rimasti fuori anche dai sussidi statali.
La Simeide racconta una vera e propria odissea che, nonostante alcuni risvolti amari, ha infine ottenuto un esito felice, “vincente” appunto, frutto di una convergenza di interessi e di spirito tra lavoratori, sindacati e figure politiche. Benché non si possa affermare che tale alleanza sia stata idilliaca – basti guardare solamente i costanti botta e risposta tra DC, PCI e, in misura minore, PSI – ha saputo comunque mantenere la bussola nonostante il passare del tempo, con il Consiglio di fabbrica che funse da vero e proprio nord magnetico, senza il quale questa lotta vincente non sarebbe, forse, neanche iniziata.