Spesso un evento pubblico dedicato alla poesia è molto simile a un incontro di reduci: la nostalgia divampa e chiunque prenda la parola, invoca il passato sulla propria pelle.
Che si tratti di una cicatrice o di una raccolta, la complessa predisposizione dei partecipanti risponde alla necessità di instaurare una proporzione tra le distanze quotidiane. Buono e meno buono, bacio e caos e tante altre sfumature.
Ma la poesia è ancora una fonte di irradiamento o anche lei ha subito la violenza delle tracce? Mi spiego, finché leggiamo e ascoltiamo poesia, siamo parte del legame tra la parola e la ricerca, solchi di una piccola evasione quotidiana o entrambe?
Dal primo battito all’ultimo sospiro, le possibilità ci soverchiano e allora, di fronte alle innumerevoli coperture, mi piace credere che ci siano ancora quegli spiazzi dove l’infelicità e l’insoddisfazione non sono occlusioni, ma movimenti statici verso l’ispirazione più comune degli esseri umani: il non detto.
Fino a quando il respiro della poesia condizionerà ogni incompletezza, qualunque contesto potrà alimentarne la vocazione.
Per questo mi mancano quelle serate, mi mancano gli sguardi dei “reduci”, mi mancano le sedie vuote e chi si siede accanto nel buio di una semiretta di poeti.