Quando si parla di letteratura abruzzese, inevitabilmente si pensa a D’Annunzio, Silone, tuttalpiù Flaiano, oppure, per i contemporaneisti estremisti, alla Di Pietrantonio, da poco giunta alla ribalta del grande pubblico con L’arminuta e Borgo Sud. Il romanzo di cui vi voglio parlare oggi invece appartiene a uno scrittore che, paradossalmente, è stato piuttosto apprezzato in vita, salvo poi essere un po’ dimenticato dopo la morte: Mario Pomilio (1921-1990).
A confermare il successo avuto da questo autore vi sono due importanti riconoscimenti: il Premio Campiello vinto nel 1965 con La compromissione e lo Strega conquistato nel 1983 con il romanzo di ispirazione manzoniana Il Natale del 1833. Ma ora soffermiamoci sull’opera oggetto dell’articolo, ossia proprio La compromissione, romanzo ambientato a Teramo nell’immediato dopoguerra, tempo di ricostruzione materiale e politica e di facili entusiasmi a ridosso delle elezioni politiche, gli stessi entusiasmi inziali del protagonista, Marco Berardi, professore di liceo diviso tra il suo lavoro e la militanza politica nel Partito Socialista vissuta con i compagni di sezione.
In quella che apparentemente sembra una tranquilla vita di provincia subentra però un intoppo classico di molte storie, ossia l’amore, ma non un amore qualunque: in un moderno revival di Romeo e Giulietta, Marco ama proprio la persona più difficile da amare per un socialista del Fronte popolare: Amelia, figlia di un notabile democristiano di primo livello, che quindi rappresenta, almeno inizialmente, il male assoluto, il grande mostro contro cui combattere per giungere alla vera Rivoluzione.
Il sentimento d’amore e il grande impegno politico del protagonista sembrano quasi portare il romanzo sui binari della grande tradizione narrativa sette-ottocentesca (cui comunque Pomilio aderisce), ma gli eventi prendono una piega assai poco eroica per il protagonista, che si potrebbe intravedere bene attraverso le occorrenze della parola centrale del romanzo, la compromissione, che segna il tessuto narrativo in tutte le sue tappe decisive.
Con l’andare del tempo, l’amore per Amelia, che all’inizio sembra quasi una ribellione congiunta contro il democristiano padre di lei nel segno dell’anticonformismo, inizia ad assumere sempre più le caratteristiche di un sentimento banalizzato e borghese, proprio a partire dalla sera in cui i due amanti vengono sorpresi a baciarsi dal padre di lei fuori dalla sontuosa villa del notabile democristiano; la loro storia giunge così a un punto di non ritorno che sfocia nella routine del matrimonio e della vita sotto lo stesso tetto, nella villa; cose che, unite a una gravidanza difficile, portano alla rottura dell’amore nei tradimenti di Marco, che rendono un istituto già borghese come il matrimonio ancora più borghese, portato avanti solo per salvare le apparenze.
Al contempo non si evolve bene nemmeno la militanza politica di Marco, che diventa “un uomo attento solo a sorvegliare i propri compromessi“: il suo progressivo avvicinamento alla famiglia di Amelia lo porta a essere osteggiato dai suoi vecchi compagni di lotta, così finisce addirittura per accettare gli incarichi amministrativi datigli dal suocero, completando quindi il proprio personale processo di imborghesimento, che segna inevitabilmente la sconfitta di ogni ideale politico e morale.
Sicuramente il romanzo, scritto in un italiano medio, senza eccessi, che non sconfina mai nel dialetto, con la sua sintassi agevole si lascia leggere molto bene, anche nelle numerose parti introspettive che segnano la narrazione; non mancano tuttavia pagine ad alto tasso di poesia nella descrizione del sentimento di Marco e Amelia allo “stato primordiale”. Il tutto risulta perfettamente incastonato negli scorci di una Teramo affascinante da scoprire attraverso le pagine pomiliane, che trasudano storia, poesia e intensità in ogni attimo.